L’ambizione di fornire, oltre la Rassegna filmica, una tangibile visibilità e la “rappresentanza artistica” di registi, autori, attori attrici, segnalatisi all’attenzione di critica e pubblico.

Sceneggiatori e registi

Per contattare gli artisti: romafilmproject@libero.it

Afro De Falco
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L’immagine filmica come lente, mai traslucida, sulla segretezza (silente) dell’anima. L’”architettura drammaturgica” che si fa quadro, voce, suono, del quotidiano: l’aspirazione – realizzata – dell’autore di esserne il cantore, con sequenze che si ha voglia di abitare.

Note biografiche
E’ nato a Napoli il 27 agosto del 1983. E’ stato allievo di Giuseppe Ferrara, Paolo Sorrentino, Claudio di Mauro e Andrea Molaioli. Per la sua opera prima: “JUDA” di cui è autore e regista riscontra un notevole successo nei festival nazionali aggiudicandosi numerosi riconoscimenti. Nel 2008 è autore e regista del lavoro “Eroico Furore” prodotto da Libera Scena Ensamble e dalla Film Commission Regione Campania. Grazie a quest’opera viene premiato in festival nazionali ed internazionali. Dirige anche documentari, tra cui “Giordano Bruno e i Rosa Croce”; Il suo esordio al cinema avviene nel 2012 col lungometraggio “VITRIOL” distribuito al cinema nel circuito nazionale, coprodotto dal Ministero dei Beni Culturali di Roma. Gira documentari, videoClip e spot commerciali e NEL 2013 il cortometraggio in pellicola “LA VOCE DEL SANGUE” coprodotto dalla film Commission regione Campania. Gira nel 2016 il cortometraggio “MARIA” con Anna Ferruzzo e Pietro de Silva prodotto dall’ASCI CINEMA e dalla ALAN-ONE s.r.l.

Visione di Cinema
La mia ricerca è sempre stata diretta verso l’approccio di un archetipo per poi tentare di tradurlo in un immagine. Credo che il Cinema sia la transcodifica di emozioni e concetti astratti in “quadri visivi” che riescano a restituire a chi guarda il loro significato senza troppo mistero. Poi ovviamente c’è il lavoro sul subliminale e sul sottotesto, ma questo a mio avviso non deve prevalere sul significato principale tanto da rendere l’opera incomprensibile. Il Cinema è vincente quando riesce a raccontare qualcosa di molto complesso attraverso un’immagine semplice e ricorrente, magari in cui ci rispecchiamo tutti i giorni.

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Federico Mottica
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La messa in scena del “corpo a corpo” con le nostre ossessioni ed i nostri incubi. E un campionario di Idee filmiche-puzzle, concepite con “l’euforia” di chi non vorrebbe mai scendere dalla “giostra delle invenzioni”. Il Cinema non è anche questo?

Note biografiche
E’ nato a Genova nel 1995. Ha conseguito la maturità classica e si è diplomato in pianoforte al conservatorio Paganini di Genova. Attualmente frequenta il corso di regia al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Nel 2015, dopo i suoi primi esperimenti cinematografici, oltre ad alcuni videoclip, realizza il cortometraggio “Sogno di un impiegato” con Davide Iacopini e Cosimo Cinieri. Nel 2016 gira “Heribergo”, un noir ambientato interamente in un albergo di lusso. Nel 2017 cura la regia del Concerto dell’Orchestra del Conservatorio Paganini, svoltosi nel celebre teatro Carlo Felice. Realizza il suo quinto cortometraggio “Mia moglie” e cura la regia del cortometraggio “Esterno notte” in occasione del The 48 Hour Film Project di Roma. Filmografia: cortometraggi: Giorno di gloria [CSC] – (in lavorazione), Fuori copione [CSC] – (2018) Love me tender [CSC] – (2018) Esterno Notte [The 48 Hour Film Project ] – (2017) Mia moglie – (2017) Heribergo – (2016) Sogno di un impiegato – (2015) Quasi padre – (2013) Io e mia madre – (2012) Videoclip: Io sono un colibrì – (2017) Sale grosso – (2016) Ce ne andiamo in Cina – (2016) Spirito alato – (2015) Libero come l’aria – (2015) S.O.S. navigantes – (2015) Perché lui – (2015) Rosso è il rossetto – (2014) Video concerti: Concerto dell’Orchestra del Conservatorio “Paganini” – (2017)

Visione di cinema
Il cinema è una grande possibilità di fornire sempre un nuovo punto di vista nel modo più efficace, attraverso la fusione dell’immagine e del suono. Oggi, a mio parere, è la maniera migliore per riflettere, e per riflettere soprattutto sulla realtà. Pensare dunque. A questo proposito ricordo quella frase di Godard in cui disse che l’arte, e nel suo caso particolare il cinema, servisse più per pensare che per raccontare delle storie. Quando ero bambino, volevo fare il direttore d’orchestra ed avevo una forte passione per la musica. Per questo ho iniziato a studiare pianoforte al Conservatorio. Mi sono allora accorto che la musica e il cinema sono per forza strettamente collegate tra loro. In fondo, anche la figura del regista può essere facilmente paragonata a quella del direttore d’orchestra. E’ stato Bresson che ha detto “Chiunque voglia fare film dovrebbe prima aver studiato musica”. La struttura di un film è molto simile a quella di una composizione musicale, quindi trovo utile avere un’idea di come si compone musica. Quando si inizia a scrivere un soggetto cinematografico, è necessario sapere esattamente cosa si andrà a trattare e come andrà a finire ancor prima di aver cominciato. Così come quando si scrive una fuga, come quella di Bach, è indispensabile aver fissato prima il tema da comporre, altrimenti ci si perde. Ciò che apprezzo di più quando guardo un film è notare che il regista e lo sceneggiatore conoscono ciò di cui stanno parlando e sanno come trattarlo per renderlo nel migliore dei modi. E’ chiaro che questo accade soprattutto se si approfondiscono temi che si comprendono a fondo e che quindi si possono raccontare con più precisione (per esempio i film d’autore che spesso sviluppano storie autobiografiche o legate a fenomeni sociali), ma avviene che anche film apparentemente molto distanti dalla realtà riescano a toccare corde profonde dell’animo umano come “2001: Odissea nello spazio” o “Ran”. E’ poi interessante in un film la presenza di conflitti tra i personaggi, di sensi di colpa, di scelte obbligate e di paure primordiali perché credo che sia proprio quando si presentano situazioni di tensione che vengono a galla i problemi di cui altrimenti sarebbe molto più difficile parlare e riflettere. Meglio ancora se tutto questo è realizzato attraverso una visione originale che permette allo spettatore di entrare in un’altra dimensione, abbandonando la propria realtà. Il cinema fornisce quindi una sfida eccitante e stimolante che rende necessaria la presenza di sincerità e audacia. Per questo amo i registi che definirei “coraggiosi”, coloro che si sono sempre battuti per la loro personalissima visione e il loro stile inconfondibile. Tra i tanti, in ordine sparso, Kubrick, Fellini, Malick, Jodorowsky, Fuller, Scola, Kieślowski, Peckinpah, i fratelli Coen, i fratelli Taviani, Godard, Cronenberg, Olmi, Lynch, Visconti, Kurosawa, Buñuel, Almodóvar, Monicelli, Garrone, Lumet, Fassbinder, Anderson, Tarkovskij, Pasolini, Miyazaki, Truffaut, Bellocchio, Renoir, Haneke, Bergman, Antonioni, Lattuada, Hawks, Wenders, Carné, Rossellini.

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Nour Gharbi
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Quando il minimalismo non omologato disvela emozioni profonde. Un cinema – esteticamente prezioso – che ne è espressione attraverso il racconto dell’eterna lotta del sopravvivere, la pudica esplorazione dell’intimità umana. E una natura dove (ri)trovare – un cuore pulsante: il nostro.

Note biografiche
E’ nato a Parigi il 3 agosto del 1980, si laurea in Cinema presso La Sorbona. Impara il mestiere di aiuto-regista presso la CEFPF Film School e inizia a lavorare nel settore cinematografico come aiuto-regista e operatore video. Nel 2010 si trasferisce in Italia da Parigi e nel 2012 fonda la Gritty Pictures, un’associazione culturale con la quale realizza i suoi primi lavori da regista. Nel 2014, Rimbalzello, il suo primo cortometraggio, vince il Premio Speciale della Critica al Maazzeni Film Festival. Tra il 2015 e il 2016, porta a termine tre altri cortometraggi: Mokusatsu, interamente girato in lingua giapponese, ha vinto 23 premi ed è stato selezionato in oltre 70 festival tra cui l’Ischia Film Festival e il Foggia Film Festival; Il Figlio che Partì, girato con il cellulare nel contesto del Cici Film Festival a Castellammare del Golfo; Il Sapore del Sale, selezionato al Short Film Corner di Cannes e vincitore del Premio Qualità Tecnica e Filmica al Roma FilmCorto in 2016 e del Premio “Fausto Antonucci” per il Miglior Cortometraggio allo Spiraglio Film Festival della salute mentale. In novembre 2017, Nour Gharbi fonda la Raganella Production, una piccola casa di produzione con la quale porta avanti i suoi nuovi progetti, tra cui la sua opera prima di lungometraggio, I Picciotti del Bronx.

Visione di cinema
Sono sempre stato affascinato dai comportamenti umani, da ciò che spinge una persona ad agire in un modo più che in un altro. Il cinema mi consente di avvicinarmi alla comprensione dell’uomo, di esplorare la sua psiche e coglierne alcune sfumature. Mi interessa raccontare storie in grado di emozionare. Per me il cinema deve permettere allo spettatore di legare con la parte più intima di sé. Immagino la sala cinematografica come un tempio, dove lo spettatore può rifugiarsi e intraprendere un viaggio introspettivo alla ricerca dei propri sentimenti, dove avviene un proficuo dialogo tra lui e il film. La tenacia dell’uomo di fronte alle avversità, la sua necessità di armonizzare con la natura, il valore della famiglia, i danni causati dal sistema sociale sull’individuo, sono queste le questioni che mi stimolano e che tento di approfondire nei miei film, perché mi permettono di esaminare l’uomo mettendolo a confronto con ciò che lo circonda. Nonostante le tematiche che affronto, cerco sempre e comunque di provocare emozioni opposte, così da portare lo spettatore a riflettere sulla natura contraddittoria ed effimera delle cose. Non amo i manierismi al cinema. Mi piace la semplicità. Oltre a suscitare emozione, un film deve raccontare una storia. Continui movimenti di macchina e montaggio frenetico, musica onnipresente e voce narrante predominante, sono trucchi che a mio parere creano un distacco tra lo spettatore e la storia. In questo senso, mi sento più vicino al cinema classico giapponese, dove la regia e la tecnica non sovrastano mai la storia. Kurosawa, Mizoguchi e Ozu sono maestri nell’arte della semplicità e penso che abbiamo molto da imparare da loro. Prediligo inquadrature fisse e pochi tagli di montaggio perché ciò mi permette di sfruttare la composizione dell’immagine, la prospettiva, il movimento, i colori e la luce. Per me, un’inquadratura può essere più potente di un film e racchiudere in sé un mondo.
Pur aspirando ad un certo minimalismo di narrazione, cercherò sempre di proporre allo spettatore un cinema alternativo, fatto di storie originali ed emozionanti. I tempi sono cambiati, ma una cosa non cambierà mai, il bisogno di storie… e le storie che aspettano di essere raccontate sono infinite!

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Scrittori, soggettisti, sceneggiatori (*)

(*) I diritti dei testi allegati sono riservati. E’ vietata la riproduzione, anche se parziale.

Rosaria Russo
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Agilità di scrittura, profondità di visione/analisi da entomologo; “distacco-partecipe” (l’ossimoro è solo apparante) propria di un medico legale: doti di un brillante giornalista. In questo caso, di una giornalista, Autrice – quasi suo malgrado, verrebbe da dire – prima di essere una lucida cronista-narratrice.

Note biografiche
E’ nata a Portici (Na) nel 1986. Svolge l’attività di giornalista pubblicista. Collabora con varie testate giornalistiche, occupandosi di cultura, cinema e televisione. Nel 2016 è uscito il suo romanzo “La memoria del sangue” Edito da Libromania. Da autrice ha partecipato con successo a contest letterari di racconti brevi thriller, alcuni dei quali sono stati pubblicati in antologie.

Sollecitazioni e propensioni
Non mi occupo solo di giornalismo: mi piace la scrittura nel senso più ampio e considero la narrazione una forma di libertà. Amo i gialli e noir. Fin da piccola avevo la propensione verso il mistero. Ricordo un quaderno dalla copertina verde dove annotavo le mie storie, tutte con una caratteristica comune: la risoluzione di un giallo. Con gli anni questa passione si è rafforzata e mi ha condotto a leggere molti libri di genere e a scrivere storie brevi, ma anche più lunghe. Al contempo, amo le immagini: quando scrivo ho davanti ai miei occhi scene e sequenze filmiche. Conosco i personaggi, li configuro. Anche per i luoghi è la stessa cosa. Per questo la possibilità di trasferire in immagini delle parole mi sembra fantastico. Amo il cinema, ma devo ammettere che prediligo la serialità televisiva. Quindi le fiction se si parla dell’Italia , e i telefilm se ci si riferisce agli Stati Uniti. Vorrei parlare nello specifico di alcuni miei racconti, di seguito riportati. “Vite da Stalker” che è quello più “vecchio” se vogliamo dire così. In quel periodo mi capitò di vedere alcuni film dedicati al tema dello stalking, un argomento purtroppo sempre attuale. Un pensiero però mi sfiorò la mente. Ossia che troppo spesso si parla di questa tematica, la si racconta, ma sempre dalla parte della vittima. A me, invece, interessava guardare dall’altra parte. Raccontare il punto di vista di stalker più svariati. Si spazia dall’amore malato tra madre e figlio, tra uomini e donne, tra due uomini. Ho cercato di creare un distacco, infatti le storie sono raccontate dai protagonisti ad una fantomatica giornalista che va a trovarli in carcere per scrivere un libro. Ciò che tendo evidenziare è la loro visione anomala dell’amore che spinge a compiere ma anche a giustificare azioni terribili.

“Sono un assassino” nasce per caso una domenica pomeriggio. Nella mente cominciò a farsi strada una lettera scritta da un killer, o comunque una persona che aveva ucciso molto, e che, ormai stanco, cercava qualcuno che lo fermasse. Sempre davanti ai miei occhi si fece corpo la scena di una giornalista, l’ultima ruota del carro di un quotidiano importante, che solitamente smista la posta e la invia ai giusti destinatari. Ma che per caso si imbatte in questa mail, rivolta al giornale e mentre da un lato ha paura, dall’altro comprende che se fosse vera, potrebbe far decollare la sua carriera. Da quel momento in poi cerco di unire sia il giallo, che l’aspetto psicologico dei protagonisti, che camminano a braccetto fino alla fine.
“Il gioco della morte” prende spunto dalla realtà. Mi sono imbattuta in un servizio delle Iene che parlava del Blue Whale, il gioco che prevede una serie di prove di coraggio e che conduce gli adolescenti che iniziano il percorso, verso il suicidio. Si tratta di prove terribili basate su autolesionismo, prove fisiche e psicologiche, isolamento etc. Se ne è parlato molto, e si è anche detto che non fosse reale. Tuttavia a me è scattata dentro una molla che mi ha portata ad immaginare come potrebbe essere se una ragazza comune decidesse di iniziare un percorso simile. Una adolescente che attraverso una lettera indirizzata alla madre, racconta quello che ha compiuto. Entra in un gruppo, per avere una popolarità che le mancava. Decide di accettare e sottostare a delle prove, per poi ricevere quello che desidera. Tuttavia l’unica cosa che purtroppo otterrà sarà la morte. Non è stato facile scrivere una storia del genere, ma è ben chiara in me la voglia di aprire gli occhi a ragazzi, ma anche genitori sul fatto che non bisogna essere adolescenti strani, o depressi, per entrare in un tunnel. Bisogna avere sempre gli occhi aperti e i piedi ben saldi a terra. Porre davanti gli obiettivi sani che si intende perseguire e non lasciarsi mai abbindolare da false speranze, perché sono illusorie e non portano da nessuna parte.

Stefania Serio
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Se la fortuna è cieca, la folgorazione artistica ci vede benissimo, nonostante l’imprevedibilità – nei tempi e nelle modalità – delle nostre inclinazioni. Ecco una “sceneggiatrice folgorata”, la cui fluidità di narrazione è pari al rigore di scrittura.

Note biografiche
E’ nata a Bari il 28 agosto del 1963, ha frequentato il corso della Scuola Holden “Scrivere una sceneggiatura”. Collabora come scrittrice con la Rivista settimanale ‘Intimità’ (Quadratum editrice).
Nel marzo 2012 ha pubblicato un romanzo Dio fa che dorma (CSA Editrice).
Nel 2014 ha pubblicato con la Casa Editrice digitale Sem Edizioni ‘Il cosmo parallelo’ e nel 2015 ha pubblicato con la stessa Casa Editrice il racconto “La mia Luna”.
Nel 2014 ha partecipato al Concorso Letterario ‘Alexandria Scriptori Festival’ e le è stato attribuito il riconoscimento di 1° classificato dalla giuria popolare.
Nel 2015 e 2016 si è classificata finalista al concorso per sceneggiature “Amarcort film festival”.
Nel 2016 è stata vincitrice del concorso, sezione sceneggiature, Roma FilmCorto.
Nel 2017 si è classificata finalista al concorso al Festival Internazionale del Cinema Povero.
Nel 2016 è diventata autrice della Casa Editrice Harper Collins Italia.
Nel 2017 si è classificata terza al concorso per sceneggiature Terra di Guido Cavani
Nel 2017 un suo progetto è stato selezionato all’Authors Day nell’ambito del concorso Montecatini Film Festival.
Nel 2017 è stata ancora vincitrice al Roma FilmCorto.

Sollecitazioni e propensioni
Potrei dire che ho sempre scritto fin da quando ero bambina (dicono tutti così), sarebbe figo ma non è vero. Ho iniziato all’improvviso a scrivere circa una decina di anni fa e non ho mai più smesso; dedico alla scrittura giornalmente quattro/cinque ore. Un po’ mi identifico con Forrest Gump quando dice: Quel giorno, non so proprio perché decisi di andare a correre un po’. . .Mi è successa la stessa cosa con la scrittura. Forse dovrei preoccuparmi? Scrivo romanzi, racconti, novelle, sceneggiature. La mia fantasia è inesauribile. Per il momento.
Frequentare un corso di sceneggiatura alla Scuola Holden. è stata una piccola sfida con me stessa, ho iniziato a sceneggiare i miei romanzi solo per diletto e il risultato mi è piaciuto. Acquisendo, con corsi e letture specializzate, sempre di più la tecnica cerco di migliorare ancora il mio stile e aspetto che mi si accenda una scintilla per creare Il capolavoro. Lo so che arriverà. In tutto questo. La mia passione per la letteratura si associa a quella per il cinema: due mondi paralleli ma completamente diversi. Scrivere un romanzo è un’attività in cui liberi davvero la fantasia, cercando di descrivere al meglio uno stato d’animo o una situazione, in modo da trasportare il lettore nello stesso mondo dei protagonisti. Scrivere una sceneggiatura ti costringe a dimenticare tutto questo. Devi far vedere una scena e, per fare un esempio, non potresti semplicemente scrivere: era una bella giornata di primavera. Devi piuttosto descrivere il colore del cielo, un campo pieno di fiori e un uccellino che cinguetta. Questo dà l’idea a chi deve poi realizzare la scena della bella giornata. È un modo più freddino di scrivere. In fondo una sceneggiatura non è altro che un libretto d’istruzioni.
Non saprei dire bene a quale autore mi ispiro, poiché ho amato dei generi molto diversi tra loro. M’interessano i drammi narrati da Margaret Mazzantini, ma, allo stesso modo la comicità di Nick Hornby (anche lui sceneggiatore), l’avventura di Wilbur Smith. E leggo anche tutto ciò che tratta di Artù e Merlino, sono personaggi che adoro.